Birra

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Se l’orzo è stato il primo cereale coltivato da un popolo non più nomade, la storia della birra prende avvio con la nascita della civiltà. Da allora sono molte le tappe che hanno segnato la vita di questa bevanda che è (dal latino “bibere”) da sempre sinonimo di bere.

Birra: dal latino bibere, cioè bere. Dunque, la bevanda per eccellenza. Bevanda fermentata, moderatamente alcolica, a base di cereali. Inventata da una donna, forse casualmente, “maneggiando” cereali in cucina.. Che sia nata decisamente al femminile, lo conferma anche la mitologia degli Armeni, che attribuivano l’invenzione della birra alla dea della terra Armalu.

Da una cultura all’altra, ecco invece una dea patrocinante del calibro di Cerere, dea-madre per eccellenza, e un santo protettore, il vescovo Arnoldo, santificato intorno al 1100 per alcuni miracoli tra cui la trasformazione istantanea del mosto in birra, effettuata per salvare i suoi parrocchiani da un’epidemia di colera. In effetti, allora la birra era igienicamente molto più sicura dell’acqua, grazie proprio alla fermentazione, che ne eliminava i batteri “cattivi”.

La birra è, poi, tra le bevande che fanno bene al corpo e anche allo spirito, la più antica. Per risalire alle sue origini, occorre fare un passo indietro di parecchi millenni. A quando legumi e cereali erano alla base dell’alimentazione quotidiana. E l’orzo è stato certamente il primo cereale coltivato, quello che ha accompagnato il passaggio di molti popoli dal nomadismo alla fondazione di villaggi e città.

Il passaggio per l’uomo preistorico dalla vita nomade a quella stabile è concretamente testimoniato da diversi ritrovamenti. La presenza di un particolare frumento non selvatico (Triticum dicoccum) e di orzo (Hordeum distichum) è chiara per esempio in rilevamenti compiuti nell’area di Gerico, poco distante dalla depressione del Giordano, dove si è accertato che gruppi di uomini cominciarono ad apprezzare i vantaggi di una fissa dimora intorno al 10.000 a.C. Quanto alla storia documentabile della birra, essa parte dalla Mesopotamia, almeno 4500 anni prima della nascita di Cristo. E a iniziarla fu, appunto, una donna. Alle donne la birra è stata a lungo riservata. E alle donne si deve anche l’invenzione delle prime modalità di conservazione dei cereali che, tenuti nell’acqua, possono in effetti dare luogo a maltazione e fermentazione.

Ma tra i Sumeri, il primo popolo birraio, visto che gli ingredienti di pane e birra sono gli stessi (cereali e lieviti), e visti il successo, la diffusione orizzontale e l’acquisizione di una valore commerciale, presto il compito di birraio passò al fornaio stesso.

Tra i Sumeri la birra diventa presto uno status symbol. Ogni strato della popolazione ha diritto a quantità diverse della tanto amata bevanda: due litri al giorno di chiara a operai e impiegati, tre litri di quella più forte ai funzionari, cinque litri del tipo “top” a governatori e ai sacerdoti. E ci sono già molti tipi di birra, da quella dolce a quella aromatizzata alla cannella.

Quando i Sumeri passano la mano ai Babilonesi, la birra è già un must. E i “nuovi” iniziano subito a mettere regole (dure) per chi fa sciocchezze. Tanto per dirne una, il “Codice di Hammourabi” (1728-1686 a. C.) prevede che chi annacqua la birra prima di venderla ci venga annegato dentro.

Presso gli Egizi, la birra conquista un altro dio, Osiride (di cui è ritenuta la bevanda) e una regina, Cleopatra, che offre coppe di “cevrin” al dio dei defunti e riserva per sé, invece, coppe di “zythum”. Proprio la zythum è la prima birra assaggiata dai Greci, che la ribattezzano “zythos”. Ed è da questa radice che in seguito nascono i termini scientifici riferiti alla fermentazione, come zimotico.

Di birra parla anche (e come poteva essere diversamente?) la Bibbia. Ed è birra che gli ebrei bevono durante la festività del Purim. In Cina, intanto, la birra è popolarissima già dal terzo millennio e, a differenza degli altri paesi, viene prodotta ricavando mosti direttamente dai cereali. Tre le varietà: miglio, frumento e – ovviamente – riso. Tanto riso…ù

Tra i tifosi della birra all’antica più accaniti, poi, come non annoverare i celti? Nelle loro scorribande dalla Gallia alla Britannia e all’Irlanda, eccoli tracannare corni su corni di birra, prima e dopo la battaglia. Proprio l’Irlanda sembra addirittura nata sotto il segno della birra. Secondo le saghe, il paese conosce la libertà solo quando l’eroe Mag Meld riesce a strappare ai perfidi mostri Fornoriani il segreto della fabbricazione della birra, la bevanda che li rendeva immortali.

Come tutte le tecniche codificate da preservare (ed evolvere), non passa molto che la scienza del far birra trovi rifugio in convento. I monaci cominciano a mettere ordine nella produzione, dettando le norme igieniche e codificando le tecniche. E si deve a loro il primo utilizzo del luppolo come aromatizzante al posto della miriade di altre spezie, bacche, piante officinali o il “gruyt”, insieme di vari aromi introdotto in occidente dai Crociati e apprezzato a lungo, specie in nord Europa.

Con l’anno Mille, intanto, inizia la nuova era della birra: la produzione in Nord Europa diventa industriale e in Germania nasce la figura del mastro birraio. Già nel 1376 ad Amburgo i birrai sono 457, divisi nelle due attività “di mare” (esportatori) e “di terra” (gli operatori locali). E dal 1200 in Europa è tutto un legiferare intorno alla birra. Fino al celebre “editto sulla purezza”, 1516, cui si deve la codifica definitiva: la birra può esser fatta solo con malto d’orzo, luppolo e acqua.

Il fatto che birra e birrai si diffondano con propulsione inarrestabile, non mette certo fine, però, all’epopea delle birre conventuali. Ancora nel sedicesimo secolo in Francia la birra destinata ai frati viene chiamata “birra dei Padri” mentre quella per le suore, più leggera ma sempre abbondante, è la birra “di convento”.

In Germania la birra attraversa tutti gli strati sociali. E la penetrazione è talmente forte che è qui che nascono le “scuole” di maestri birrai, con tanto di “stages” per i produttori. Tra le migliori quella di Monaco, tuttora in attività.

Gli Inglesi si distinguono invece – è il loro sport – per due caratteristiche: la velocissima diffusione delle birrerie, i pub, già migliaia nel 1300, e la strenua resistenza al luppolo, durata a lungo. E a questo punto la popolarità della birra in Europa è così alta e… redditizia, che, a poco a poco, autorità e case regnanti iniziano a tassarla.

La birra varca l’Oceano nel 1620, insieme ai Padri Pellegrini. Destinazione, America. Proprio mentre da questa parte del mondo una serie mirabolante di scoperte inizia a cambiarne la sintassi produttiva. In ordine di apparizione citiamo il termometro di Fahrenheit (1714); 1′ idrometro di Marin (1768); la macchina a vapore di James Watt (1785); la macchina per tostare il malto di Daniel Wheeler (1817); il “raffredatore del mosto” di Jean-Louis Baudelot (1856). E poi la macchina per il ghiaccio artificiale di Carré & Linde (1859), importante soprattutto per la possibilità di produrre birra tutto l’anno e per la nuova lavorazione detta a bassa fermentazione. Nasce così la attuale lager. E nasce allora (dalle scoperte di Pasteur) la possibilità di “pastorizzare” – volendo – ad alta temperatura la birra. Un ulteriore impulso alla preferenza verso birre sempre più chiare viene dalla diffusione delle bottiglie di vetro, iniziata a fine Ottocento, che le fanno apparire più invitanti in trasparenza.

Ed eccoci quasi ai giorni nostri. Con il XX secolo la produzione industriale vede cambiare radicalmente i volumi di produzione e le regole: i birrifici tendono a concentrarsi, a unire le forze. Come le industria di altri campi.

In terra italica, i primi estimatori della birra furono gli Etruschi che, nei loro convivi, amavano consumare una bevanda fermentata moderatamente alcolica, chiamata “pevakh”, fatta inizialmente con segale e farro, poi con frumento e miele.

Anche i Romani, dominatori dell’intero continente, pur preferendo il vino, che li fa sentire più forti e civilizzati, non disdegnano però questa bevanda “barbara” che tanto piace alle popolazioni non latine. Ne è attratto Giulio Cesare che, nei suoi Commentarii, racconta come i Celti iniziassero ogni trattativa con una porzione della bionda bevanda; Augusto ne esalta, addirittura, le virtù terapeutiche, convinto di essere riuscito a guarire da un fastidioso mal di fegato proprio grazie alla “cervisia” ed anche Nerone ne fu fervido estimatore come Agricola, il governatore della Britannia, che, tornato a Roma nell’83 d.C. insieme a tre mastri birrai di Glavum, l’odierna Gloucester, trasformò la sua residenza nel prototipo di un moderno pub, con tanto di birreria e mescita annesse.

Alla caduta dell’Impero, con la presa del potere da parte di Visigoti, Ostrogoti e Longobardi, la birra diventa la bevanda preferita non solo del popolo ma anche di regine, Teodolinda, e di santi, San Colombano che, appena arrivato a Bobbio dalla natia Irlanda, compie due miracoli con questa bevanda.

Nel Medioevo continua a crescere il consumo della birra, specialmente nel Nord d’Italia anche a causa delle continue incursioni dei Lanzichenecchi. La birra è consumata in prevalenza dagli uomini, mentre per le donne l’assunzione deve avvenire sotto controllo medico. Come sono lontani i tempi in cui le matrone romane potevano disporne a piacimento per imbiondirsi i capelli o per salutari bagni! Secoli dopo, è un matrimonio aristocratico a rendere la birra ancora più popolare. Correva l’anno 1494 quando Massimiliano I d’Asburgo sposa Bianca Maria Visconti, nipote del duca di Milano Ludovico il Moro che, per festeggiare le nozze, offrì a tutti i milanesi un boccale della schiumosa bevanda. La birra che si beve in Italia fino a questo momento è, però, tutta d’importazione. Le cose cambiano a metà del ‘700, quando Lazzaro Spallanzani scopre che la fermentazione è il risultato del metabolismo di un essere vivente: il lievito. La prima vera fabbrica di birra apre a Nizza Marittima, ancora italiana nel 1789, ad opera di Giovanni Baldassarre Ketter. Due anni dopo Giovanni Debernardii rileva l’attività e ottiene la licenza per vendere la birra in tutto il Piemonte. E qualcosa la birra deve rendere se , a partire dal 1814, i Savoia cominciano a tassarla… Pochi anni dopo, nel 1890, le aziende che producono birra nel nostro paese sono già 140: quasi tutte al Nord, grazie all’abbondanza di acque surgive, e per la presenza austriaca sul territorio che ha portato buoni insegnamenti per quanto concerne la produzione. Ma com’erano le prime birre “made in Italy”? Si trattava prevalentemente di ‘birroni’, bevande forti ad alta fermentazione che, abitualmente, si mischiavano con l’acqua per stemperarne il gusto. Con l’aiuto dei mastri birrai austriaci, boemi e tedeschi la birra italiana migliora di anno in anno e, dal 1890 alla fine del secolo, aprono 150 nuove fabbriche, anche al Sud. A questo punto non si può più dipendere dall’estero e gli industriali iniziano a creare colture di orzo da birra e a costruire malterie proprie: la prima è quella sorta ad Avezzano, nella Piana del Fucino, che prende il nome di “Le Malterie Italiane”.

Fonte: AssoBirra

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